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07.05.2020

L’ambito di operatività dell'eccezione di inadempimento


È pacifico che il nostro ordinamento ammetta l’autotutela solo in via del tutto eccezionale, e quindi solo in casi espressamente previsti dalla legge. Nei contratti a prestazioni corrispettive, la legge offre un particolare rimedio volto a proteggere il sinallagma contrattuale: l’eccezione di inadempimento. L’articolo 1460 c.c., infatti, concede a un contraente la facoltà di rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione nel caso in cui l’altro contraente non adempia o non offra di adempiere contemporaneamente quanto dovuto.

Nonostante il suddetto articolo limiti l’ambito di operatività di tale rimedio ai contratti a prestazioni corrispettive, vi è una chiara tendenza ad allargare tale ambito di operatività tramite il riferimento, anziché alla nozione di corrispettività, al concetto di interdipendenza delle prestazioni. È, infatti, ammessa nei contratti bilaterali imperfetti (mandato, deposito), anche se gratuiti, quando l’obbligato abbia diritto alla corresponsione dei mezzi necessari per l’esecuzione del contratto. Tale eccezione è ammessa anche nei contratti collegati: quando le parti hanno voluto i due rapporti come teleologicamente e funzionalmente collegati tra loro e posti in rapporto di reciproca interdipendenza, nonostante le inadempienze siano inerenti a rapporti sostanzialmente diversi.

Se l’applicazione dell’eccezione di inadempimento ai contratti a prestazioni corrispettive è affermata dalla legge, l’applicazione ai contratti interdipendenti e collegati è ormai pacificamente ammessa dalla giurisprudenza.

 

Al contrario, la giurisprudenza maggioritaria ha sempre negato una possibile applicabilità dell’eccezione di inadempimento ai contratti societari; infatti, la stessa ha sempre affermato la non opponibilità di tale eccezione nei rapporti associativi, in particolare, nei contratti di società. L’unica eccezione ammessa erano le società cooperative, per le quali si è sempre fatto un discorso differente poiché «il rapporto attinente al conseguimento dei servizi o dei beni prodotti dalla società ed aventi ad oggetto prestazioni di collaborazione o di scambio tra socio e società si palesa ulteriore rispetto a quello relativo alla partecipazione all’organizzazione della vita sociale ed è caratterizzato non dalla comunione di scopo, ma dalla contrapposizione tra quelle prestazioni e la retribuzione o il prezzo corrispettivo» (Cass. n. 26222 del 12 dicembre 2014).

In altri termini, l’articolo 1460 c.c. non è applicabile ai contratti di società perché il sinallagma è sostituito dalla comunione di scopo, ossia la collaborazione tra i soci per conseguire un risultato comune; l’opposto di quanto si verifica nelle cooperative, dove la prestazione si contrappone alla retribuzione.

 

L’orientamento maggioritario si è schierato, quindi, contro l’applicabilità dell’articolo 1460 c.c. ai contratti societari. Tuttavia, se si affronta il tema appena esposto non si può non citare la recente pronuncia della Corte di Appello di Milano che, con la sentenza n. 3375 del 18 luglio 2017, ha invertito l’orientamento maggioritario affermando l’applicabilità dell’art. 1460 c.c. ai rapporti tra la società e l’amministratore.

Il giudizio ha preso le mosse dal mancato pagamento del compenso di due amministratori, i quali hanno depositato un decreto ingiuntivo, accolto e successivamente revocato a conclusione del giudizio di opposizione, in cui la società ha sollevato l’eccezione di inadempimento di fronte a condotte di mala gestio degli amministratori. L’appello, successivamente proposto dagli amministratori, si è fondato, principalmente, sul richiamo della sentenza n. 1545 del 20 gennaio 2017 delle Sezioni Unite con la quale la Corte di Cassazione ha escluso il carattere para-subordinato del rapporto tra amministratore e società riconducendolo alla categoria dei rapporti societari e alla figura dell’immedesimazione organica. Sulla base di tale circostanza, gli amministratori hanno sostenuto l’inapplicabilità dell’art. 1460 c.c., in quanto rimedio limitato solo ai contratti commutativi e non a quelli associativi «atteso che il compenso dell’amministratore è dovuto per il mero fatto di rivestire la carica ed assumere gli impegni connessi». Inoltre, gli amministratori hanno sostenuto l’inconciliabilità dell’art. 1460 c.c., di carattere sospensivo e conservativo del contratto, con la proposizione dell’eccezione di inadempimento in un momento in cui il rapporto è già concluso.

La Corte di Appello di Milano, con la citata sentenza, ha confermato la riconducibilità del rapporto tra amministratore e società alla categoria dei rapporti societari, ma ha poi ritenuto non condivisibile né scontata la tesi avversaria secondo cui da tale assunto discende piana l’inammissibilità della proposizione dell’eccezione di inadempimento. È stato segnalato che «il rapporto societario deve essere annoverato pur sempre all'interno dei rapporti fonti di obbligazioni tra le parti, sia per quanto riguarda quelli inerenti la costituzione e la modificazione del rapporto societario, che circa quelli relativi ai comportamenti degli organi amministrativi e di controllo. Tra i rapporti societari si annoverano altresì le questioni relative alla perdita o all'acquisto della qualità di socio, così come le vicende relative alle impugnative svolte dai soci in ordine alle delibere degli organi sociali. In tutte queste tipologie di rapporti sussistono sempre obbligazioni da parte dei soggetti che intervengono nel rapporto societario, con diverse sanzioni nel caso di violazione degli stessi (che sia la revoca, l'azione di responsabilità, l'annullamento della delibera etc.)».

Se, da un lato, vi è il contratto di società da cui l’amministratore deriva i propri poteri in via originaria, dall’altro lato, «con l’accettazione della nomina egli [l’amministratore] assume gli obblighi di adempiere ai propri doveri derivanti dalla legge o dallo statuto, costituenti il contenuto legale o pattizio del rapporto di società». In altri termini, la relazione obbligatoria interna tra amministratore e società «non può ritenersi annullata o appiattita dal rapporto di immedesimazione organica»; il contenuto obbligatorio derivante dallo statuto o dalla legge impone non solo all’amministratore di adempiere i propri doveri in conformità allo statuto o alla legge, ma anche alla società di remunerare l’amministratore per il ruolo ricoperto e l’attività prestata (in tal senso anche Trib. Pescara, 11 luglio 2016 «il diritto dell’amministratore non socio al pagamento del compenso trova la sua fonte in un rapporto contrattuale di mandato con la società, non certo nel contratto di società o in un rapporto sociale»). La remunerazione dell’amministratore ha, pertanto, un rapporto di dipendenza diretta con il corretto espletamento delle funzioni determinate dalla legge e dal contratto sociale; il pagamento del compenso non resta automaticamente «indifferente alle possibili anomalie nell’adempimento degli obblighi».

In conclusione, la Corte di Appello di Milano ha affermato l’applicabilità dell’articolo 1460 c.c. al rapporto tra amministratore e società «in quanto pur sempre norma dettata a rafforzare l’adempimento delle proprie obbligazioni in un contesto di corrispettività, quadro non escluso dal rapporto societario né dal rapporto di immedesimazione organica, come ricostruito dalla Cassazione in SSUU 1595/17». Da ultimo, la Corte ha ritenuto ammissibile che, nonostante la cessazione del rapporto, la parte che subisce l’inadempimento definitivo mantenga il suo interesse a non adempiere la propria obbligazione.

 

Postato da: Trainee Giulia Grassini

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